(Il testo riportato non riveste carattere di
ufficialità)
SENTENZA
N.156
ANNO 2001
composta
dai signori:
·
Fernando SANTOSUOSSO Presidente
·
Massimo VARI Giudice
·
Riccardo CHIEPPA “
·
Gustavo ZAGREBELSKY “
·
Valerio ONIDA “
·
Carlo MEZZANOTTE “
·
Fernanda CONTRI “
·
Guido NEPPI MODONA “
·
Piero Alberto
CAPOTOSTI “
·
Annibale MARINI “
·
Franco BILE “
·
Giovanni Maria FLICK
“
ha
pronunciato la seguente
nei giudizi di legittimità costituzionale del
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta
regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote
e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale
imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), promossi con
ordinanze emesse il 6 ottobre 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di
Torino, il 18 ottobre 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Como, il
23 settembre 1999 (2 ordinanze) dalla Commissione tributaria provinciale di
Torino, il 27 ottobre 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Milano,
il 21 marzo 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, il 23 marzo
2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Como, il 19 giugno 2000 dalla
Commissione tributaria provinciale di Trapani, il 10 maggio 2000 ed il 26
maggio 2000 (2 ordinanze) dalla Commissione tributaria di primo grado di
Bolzano, il 3 luglio 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Genova,
il 27 marzo 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco, il 5 giugno
2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia ed il 29
febbraio 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, rispettivamente
iscritte ai nn. 707 e 725 del registro ordinanze 1999 ed ai nn. 23, 24, 53,
289, 330, 554, 571, 576, 577, 637, 642, 684 e 694 del registro ordinanze 2000 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie
speciale, dell’anno 1999 e nn. 3, 6, 9, 23, 25, 41, 42, 43, 45, 46 e 48, prima
serie speciale, dell’anno 2000.
Visti
gli atti di costituzione dello Studio «Verna», dello Studio «Rosina &
Associati», della Regione Liguria nonché gli atti di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 23 gennaio 2001 e nella camera di consiglio del 24
gennaio 2001 il Giudice relatore Annibale Marini;
uditi
l’avvocato Francesco Tesauro per lo Studio «Verna» e l’Avvocato dello Stato
Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.-
Con ordinanza emessa il 6 ottobre 1999 la Commissione tributaria provinciale di
Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 53 e 76 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo
15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività
produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni
dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché
riordino della disciplina dei tributi locali).
Premesso, quanto alla rilevanza della questione, che
il giudizio a quo ha ad oggetto il ricorso, proposto da un contribuente,
avverso il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione su un’istanza di rimborso del
primo acconto dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) per
l’anno 1998, il rimettente espone che il medesimo ricorrente ha eccepito
l’illegittimità costituzionale del predetto decreto legislativo sotto diversi
profili e precisamente:
a) per contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto
parifica l’esercizio di arti e professioni all’attività di impresa e discrimina
il lavoro autonomo rispetto a quello dipendente;
b) ancora per contrasto con l’art. 3 Cost., avendo
l’IRAP assorbito il contributo al Servizio sanitario nazionale (SSN), che prima
era pagato da tutti i contribuenti, ponendolo in tal modo a carico soltanto di
alcune categorie di cittadini;
c) per contrasto con l’art. 53 Cost., in quanto
la nuova imposta assume quale indice di capacità contributiva il semplice
esercizio di un’attività organizzata per la produzione di beni e di servizi;
d) ancora per contrasto con l’art. 53 Cost., in
quanto l’IRAP, per la sua indeducibilità dall’imposta sui redditi delle persone
fisiche (IRPEF), potrebbe incidere su contribuenti che non hanno prodotto alcun
reddito imponibile;
e) per contrasto con l’art. 76 Cost., non avendo
il legislatore delegato rispettato i principi e criteri direttivi stabiliti
dall’art. 3, comma 143, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica);
f) per contrasto, infine, con l’art. 23 Cost.,
in quanto l’ammontare dell’acconto IRAP da versare, determinato in applicazione
della c.d. clausola di salvaguardia di cui all’art. 45, comma 3, del decreto
legislativo n. 446 del 1997, verrebbe «in concreto a dipendere dal limite di
incremento in valore assoluto risultante dalla tabella A) allegata al decreto
del Ministero delle finanze del 5 maggio 1998».
Le
argomentazioni del ricorrente e dell’Amministrazione resistente sollevano – ad
avviso del giudice a quo - «grosse problematiche giuridico-fiscali, che non
appaiono manifestamente infondate».
1.1.-
E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo
dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di
inammissibilità o infondatezza della questione.
Osserva la parte pubblica, preliminarmente, che
l’ordinanza di rimessione è sostanzialmente priva di autonoma motivazione sulla
rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della questione, che oltretutto
investe l’intera legge, così da rendere impossibile l’individuazione delle
specifiche disposizioni della cui conformità ai parametri costituzionali il
rimettente dubita.
Nel merito - premesso che il presupposto dell’IRAP è
l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla
produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, che essa
si applica, con carattere di realità, sul valore della produzione netta
derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione e che della
medesima sono soggetti passivi coloro che esercitano la predetta attività –
l’Avvocatura rileva:
a)
quanto al parametro di cui all’art. 53 Cost., che la nuova imposta troverebbe
il suo ragionevole fondamento nel fatto oggettivo che l’attività avente
rilevanza economica, organizzata attraverso la combinazione dei vari fattori
della produzione, crea di per sé un valore aggiunto di produzione; la
giustificazione dell’IRAP consisterebbe, quindi, nella formazione oggettiva di
ricchezza (ripartita in profitti, retribuzioni ed interessi) presso l’unità
produttiva, salva possibile traslazione del relativo onere su terzi dipendenti
o finanziatori: coerentemente il tributo colpisce il valore della produzione netta
(valore aggiunto) quale espresso dalla differenza tra i ricavi ed i costi per
beni e servizi;
b)
quanto all’art. 3 Cost., che nessuna discriminazione sussisterebbe tra lavoro
autonomo e lavoro dipendente, proprio in quanto l’IRAP non colpisce il reddito
prodotto in capo al suo percettore, bensì il valore aggiunto prodotto
nell’esercizio dell’autonoma organizzazione produttiva diretta alla produzione
o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi. Il principio di
eguaglianza non sarebbe d’altro canto violato nemmeno sotto il profilo che
l’IRAP, pur avendo assorbito il contributo al SSN, che precedentemente era
pagato da tutti i contribuenti, grava soltanto su alcune categorie di
contribuenti, in quanto rientra nella discrezionalità del legislatore ridistribuire
la pressione fiscale complessiva in modo diverso, a parità di gettito, nel
rispetto della ragionevolezza;
c)
quanto ancora all’art. 53 Cost., che l’indeducibilità dell’IRAP ai fini delle
imposte sui redditi, oltre ad essere irrilevante nella fattispecie dedotta nel
giudizio a quo, costituisce espressione di ragionevole discrezionalità
legislativa;
d)
quanto all’art. 76 Cost., che il decreto legislativo n. 446 del 1997 e
successive modificazioni è pienamente rispettoso dei criteri e dei principi enunciati
nell’art. 3, comma 143, della legge delega n. 662 del 1996;
e)
da ultimo, quanto al parametro di cui all’art. 23 Cost., con specifico
riferimento all’art. 45, comma 3, del decreto legislativo n. 446 del 1997,
riguardante la cosiddetta «clausola di salvaguardia», che il decreto
ministeriale previsto dalla norma impugnata è chiamato a disciplinare solo
aspetti secondari e di dettaglio attinenti alle modalità applicative del
tributo, cosicché il principio della riserva relativa di legge deve ritenersi
pienamente rispettato.
2.-
Con ordinanza emessa il 18 ottobre 1999 la Commissione tributaria provinciale
di Como, in sede di impugnativa proposta da un contribuente avverso il
silenzio-rifiuto dell’Amministrazione su un’istanza di rimborso dell’IRAP versata
a titolo di acconto per l’anno 1998, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 446
del 1997, in riferimento agli artt. 3 e 35 Cost.; dell’intero decreto
legislativo, in riferimento agli artt. 3, 32 e 76 Cost.; dell’art. 45 del
medesimo decreto, in riferimento all’art. 23 Cost.
Ad
avviso del rimettente, l’art. 3, comma 1, lettera c) del decreto legislativo
sarebbe in primo luogo in contrasto con gli artt. 3 e 35 Cost. in quanto porrebbe
sullo stesso piano, ai fini dell’imposta, il reddito di lavoro autonomo e
quello di impresa.
La medesima norma sarebbe ulteriormente in contrasto
con l’art. 3 Cost. sia in quanto, tra i redditi di lavoro autonomo, assoggetta
all’imposta solamente quelli indicati nell’art. 49, comma 1, del d.P.R. n. 917
del 1986, vale a dire quelli derivanti dall’esercizio di arti e professioni con
caratteristiche di abitualità, con esclusione degli altri, sia perché
assoggetta alla contribuzione al Servizio sanitario nazionale (essendo
confluito nell’IRAP anche il relativo contributo) solamente i soggetti
percettori di reddito di impresa e di lavoro autonomo.
Sempre con riferimento all’assorbimento nell’IRAP
del contributo al Servizio sanitario nazionale, il carattere regionale
dell’imposta comporterebbe poi – ad avviso del rimettente – la violazione degli
artt. 3 e 32 Cost., non essendo prevista alcuna forma di redistribuzione del
gettito di imposta a favore delle regioni meno ricche, al fine di garantire la
tutela del diritto alla salute di tutti i cittadini.
L’intero decreto legislativo n. 446 del 1997
violerebbe inoltre l’art. 76 Cost. in quanto il legislatore delegato avrebbe
disatteso il principio direttivo, contenuto nell’art. 3, comma 143, della legge
n. 662 del 1996, rappresentato dalla riduzione del prelievo complessivo
gravante sui redditi da lavoro autonomo e di impresa minore, essendo al
contrario aumentato, per tali redditi, il carico fiscale, in difetto di
particolari agevolazioni o riduzioni di imposta.
L’art.
45 del decreto legislativo, infine, si porrebbe in contrasto con l’art. 23
Cost. nella parte in cui demanda non alla legge ma ad atti amministrativi la
misura e la determinazione dell’acconto di imposta dovuto.
2.1.-
E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo
dell’Avvocatura generale dello Stato, eccependo preliminarmente
l’inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza,
in riferimento ai diversi profili nei quali la questione stessa si articola, e
concludendo comunque nel merito per la declaratoria di infondatezza.
In particolare, quanto alle censure relative
all’art. 3, comma 1, lettera c), del decreto legislativo, la parte pubblica
osserva in primo luogo che il presupposto dell’IRAP è costituito dall’esercizio
abituale di un’attività in quanto autonomamente organizzata, diretta a produrre
o a scambiare beni o a prestare servizi, cosicché l’ambito applicativo
dell’imposta risulta delimitato dalla necessaria autonoma organizzazione di mezzi
per lo svolgimento dell’abituale attività produttiva.
Risulta pertanto del tutto coerente con detto
presupposto l’assoggettamento all’imposta di quelli soltanto, tra i titolari di
reddito di lavoro autonomo, la cui attività sia caratterizzata da abitualità ed
autonoma organizzazione di mezzi, mentre d’altro canto la sottoposizione dei
redditi di lavoro autonomo e di quelli di impresa ad una medesima aliquota
appare frutto di una non certamente irragionevole valutazione discrezionale del
legislatore.
Circa il profilo riferito all’asserito assorbimento
nell’IRAP del contributo al Servizio sanitario nazionale, l’Avvocatura osserva
che, seppure l’IRAP è stata introdotta con contemporanea abolizione di una
serie di altri e differenziati tributi, tra cui appunto il contributo al
Servizio sanitario nazionale, ciò non toglie tuttavia che si tratti di una
nuova imposta, la quale non ha necessariamente la stessa natura dei tributi
soppressi. Nessuna necessaria identità è richiesta, d’altro canto, tra i
soggetti passivi di una imposta e i possibili destinatari o beneficiari del
servizio pubblico a finanziare il quale sia, in tutto o in parte, destinato il gettito tributario.
Tanto meno sussisterebbe - sempre con riferimento al
preteso assorbimento nell’IRAP del contributo al Servizio sanitario nazionale –
la dedotta violazione degli artt. 3 e 32 Cost.
A prescindere dall’inammissibilità della questione,
sia per il difetto di motivazione in ordine alla rilevanza, sia per la mancata
indicazione delle specifiche disposizioni di legge asseritamente lesive degli
indicati precetti costituzionali, i meccanismi compensativi previsti dagli
artt. 38 e seguenti del decreto legislativo (ed in particolare dall’art. 42)
porterebbero comunque ad escludere - ad avviso dell’Avvocatura – l’ipotizzata
irrazionalità nella distribuzione del gettito complessivo tra le varie Regioni.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 76 Cost.,
la parte pubblica rileva che la riduzione del prelievo complessivo gravante sui
redditi di lavoro autonomo e di impresa minore costituiva uno degli obiettivi
da perseguirsi dal complesso delle varie riforme del sistema tributario
indicate nel medesimo art. 3, comma 143, della legge n. 662 del 1996.
Tra queste, oltre all’introduzione dell’IRAP, vi
erano l’istituzione dell’addizionale regionale IRPEF, la revisione degli
scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni IRPEF, la revisione dei tributi
locali, la revisione dell’imposta di registro per alcuni atti. A parte, dunque,
l’arbitrarietà dell’affermazione secondo cui l’introduzione dell’IRAP avrebbe
comportato un aggravio del carico fiscale nei confronti degli esercenti arti e
professioni, non potrebbe in ogni caso configurarsi, per tale profilo, la
violazione della legge delega in riferimento al solo decreto legislativo
istitutivo dell’IRAP.
Per quanto riguarda, da ultimo, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 45 del decreto legislativo, in riferimento
all’art. 23 Cost., premessa anche in questo caso la mancanza di motivazione in
punto di rilevanza, l’Avvocatura rileva che le norme primarie definiscono con
determinatezza tutti gli elementi fondamentali dell’imposta mentre il decreto
ministeriale previsto al comma 3 dell’art. 45 si limita a disciplinare aspetti
secondari e di dettaglio attinenti alle modalità applicative del tributo,
cosicché il principio della riserva relativa di legge risulta pienamente
rispettato.
3.-
Con due ordinanze di analogo contenuto emesse il 23 settembre 1999, la
Commissione tributaria provinciale di Torino, nel corso di giudizi promossi da
contribuenti per il rimborso dell’acconto IRAP relativo all’anno 1998, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questione di legittimità
costituzionale degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo n. 446 del 1997.
Premesso che l’art. 2 pone come presupposto
dell’imposta l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata
diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi, e
che tale presupposto non ricorre nel caso di attività professionale, il
rimettente – come risulta con chiarezza dalla parte motiva dell’ordinanza -
dubita in realtà della legittimità costituzionale non del predetto art. 2 bensì
dell’art. 3, comma 1, lettera c), del decreto, in quanto ricomprende tra i
soggetti passivi dell’IRAP gli esercenti arti e professioni di cui all’art. 49,
comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR).
Detta
norma contrasterebbe infatti, in primo luogo, con l’art. 53 Cost. «in quanto
diretta a colpire una forma di capacità contributiva che, ravvisabile nella
realtà imprenditoriale, certamente non è riscontrabile nello svolgimento delle
professioni liberali». Sarebbe altresì lesiva del principio di eguaglianza, di
cui all’art. 3 Cost., in quanto discriminerebbe, agli effetti impositivi, il lavoro
autonomo rispetto a quello dipendente.
L’art. 4 del decreto legislativo, stabilendo che
l’imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività
esercitata nel territorio della regione,
sarebbe a sua volta in contrasto con l’art. 53 Cost., in quanto assume
come indice di capacità contributiva non il reddito ma l’attività produttiva in
sé, e cioè una mera potenzialità di capacità contributiva, oltretutto senza
assicurare al soggetto passivo la possibilità certa di traslazione del tributo.
3.1.
E’ intervenuta in entrambi i giudizi, con memorie di identico contenuto,
l’Avvocatura generale dello Stato per conto del Presidente del Consiglio dei
ministri, concludendo per l’inammissibilità e l’infondatezza della questione.
L’Avvocatura, eccepito preliminarmente il difetto di
motivazione sulla rilevanza, richiama, nel merito, le argomentazioni già svolte
nei giudizi precedentemente instaurati, ribadendo in particolare, quanto alle
censure riferite all’art. 53 Cost., che la giustificazione dell’IRAP, quale
imposta reale, consiste nella formazione oggettiva di ricchezza presso l’unità
produttiva, correttamente assunta a fondamento dell’imposta in quanto
manifestazione di potenzialità economica.
Con riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost.
la parte pubblica osserva che il presupposto dell’imposta è l’esercizio
abituale di attività autonomamente organizzata e che pertanto non è
irragionevole la scelta legislativa di ricondurre a detto presupposto anche
l’esercizio di arti e professioni, purché caratterizzato dall’esistenza di una
autonoma organizzazione, così come quella di escludere dall’applicazione
dell’imposta i lavoratori dipendenti ed i titolari di redditi di lavoro
autonomo di cui all’art. 49, comma 2, del testo unico n. 917 del 1986.
4.-
Con ordinanza emessa il 27 ottobre 1999 la Commissione tributaria provinciale
di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 8 e 11 del decreto
legislativo n. 446 del 1997, come modificato dal decreto legislativo 10 aprile
1998, n. 137 (Disposizioni correttive del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n. 446, concernente l’istituzione dell’imposta regionale sulle attività
produttive, la revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni
dell’IRPEF e l’istituzione di un’addizionale regionale a tale imposta, nonché
il riordino della disciplina dei tributi locali), e dal decreto legislativo 19
novembre 1998, n. 422 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti
legislativi 9 luglio 1997, n. 237 e n. 241, 4 dicembre 1997, n. 460, 15
dicembre 1997, n. 446, e 18 dicembre 1997, n. 472), «nella parte in cui:
·
non consentono di
dedurre dalla base imponibile le spese sostenute per i dipendenti e per i collaboratori e quelle per interessi
passivi;
·
non discriminano i
lavoratori autonomi dagli imprenditori, e viceversa discriminano i lavoratori
autonomi dai lavoratori dipendenti;
·
discriminano i
lavoratori autonomi di cui al primo comma dell’art. 49 TUIR dagli altri lavoratori
autonomi di cui alle altre ipotesi dello stesso art. 49 cit.;
·
non consentono di
dedurre l’IRAP ai fini delle imposte sui redditi».
Motivata la rilevanza della questione sulla base
della «necessità di decidere se il contribuente ha diritto o meno al rimborso
dell’IRAP, come richiesto col ricorso avverso il silenzio-rifiuto, trascorsi
inutilmente 90 giorni dalla istanza di rimborso», il rimettente individua un
primo profilo di illegittimità costituzionale dell’imposta nel fatto che questa
colpisca non già il risultato finale dell’attività professionale o di impresa,
bensì un valore intermedio del tutto
svincolato dal risultato finale.
L’imposta sarebbe altresì in contrasto con il
principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. in quanto la base
imponibile, per i lavoratori autonomi, è determinata assumendo come dato di
partenza il valore complessivo dei compensi percepiti nel periodo di imposta,
detratte le spese, ad esclusione però di quelle sostenute per i dipendenti ed i
collaboratori e di quelle per interessi passivi. In tal modo il contribuente
verrebbe tassato – secondo il rimettente – non in base alla sua effettiva
disponibilità economica ma ad una redditività che potrebbe anche rivelarsi
fittizia, se i costi integralmente intesi dovessero superare i ricavi.
Ulteriore profilo di incostituzionalità della
normativa denunciata si rinverrebbe inoltre – ad avviso sempre del rimettente -
«nella violazione del principio della coerenza interna alla legge, nel senso
che le molteplici ipotesi di tassazione contemplate dalla legge tributaria
siano coerenti col presupposto». Il giudice a quo ricorda, a tale proposito, la
sentenza di questa Corte n. 42 del 1980, con la quale venne dichiarata
l’illegittimità costituzionale delle norme relative all’imposta locale sui
redditi (ILOR) in quanto prevedevano, per i lavoratori autonomi, un trattamento
fiscale uguale a quello degli imprenditori e differente da quello dei
lavoratori dipendenti. Il decreto legislativo n. 446 del 1997 discriminerebbe
inoltre anche nell’ambito dei lavoratori autonomi, assoggettando a tassazione
solo i lavoratori di cui all’art. 49, comma 1, del testo unico delle imposte
sui redditi ed escludendo le altre categorie di lavoratori autonomi indicate
nello stesso art. 49.
L’art. 1 della legge istitutiva dell’IRAP sarebbe
infine costituzionalmente illegittimo, sotto il profilo della ragionevolezza,
nella parte in cui dichiara l’imposta non deducibile ai fini delle imposte sui
redditi.
4.1.-
Si è costituito in giudizio lo “Studio Verna di Franco Formenti e Giuseppe
Verna dottori commercialisti e della dott.ssa Laura Restelli ragioniere”,
ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per l’accoglimento della proposta
questione di legittimità costituzionale.
La parte privata argomenta ampiamente, in primo
luogo, sulla illegittimità costituzionale dell’imposta in generale, per
contrasto con l’art. 53 Cost., in quanto, avendo come presupposto il mero
svolgimento di un’attività produttiva, a prescindere dai risultati di tale
attività, non colpirebbe alcun fatto espressivo di capacità contributiva.
Sottopone in particolare a critica la tesi secondo
cui il fondamento costituzionale dell’imposta stessa dovrebbe rinvenirsi in una
nozione oggettiva e non soggettiva della capacità contributiva, riferibile cioè
all’organizzazione che svolge attività di impresa e non alla persona fisica
dell’imprenditore.
La nozione di capacità contributiva, alla luce del
consolidato orientamento di questa Corte, sarebbe infatti riferibile
esclusivamente alle persone fisiche (e, forse, alle persone giuridiche) e non
certo ad una organizzazione oggettivamente considerata.
I vizi di costituzionalità sarebbero, secondo la
medesima parte privata, ancor più evidenti con specifico riferimento alla
tassazione dei lavoratori autonomi. Se, infatti, il fondamento giustificativo
dell’imposta viene individuato nel “dominio” dei fattori della produzione, tale
giustificazione può eventualmente valere per l’organizzazione dell’impresa ma
non certo per quella dei professionisti e degli studi professionali, in quanto
la prestazione professionale non è frutto dell’organizzazione di studio bensì
della mens del professionista.
Per i professionisti, in definitiva, non sarebbe
prospettabile alcuna capacità contributiva reale o oggettiva, espressa dallo
studio professionale in sé, disgiunta dalla capacità contributiva personale o
soggettiva del professionista.
Ulteriore violazione dell’art. 53 Cost.
discenderebbe altresì dalla non deducibilità delle spese sostenute per le
retribuzioni dei dipendenti e dei collaboratori e di quelle per interessi, in
conseguenza della quale la base imponibile dell’IRAP verrebbe a configurarsi
come espressione fittizia di capacità contributiva.
L’art. 3,
comma 1, lettera c), della legge istitutiva, assoggettando all’imposta in egual
modo i lavoratori autonomi e gli imprenditori, sarebbe poi lesivo sotto un
duplice profilo del principio di eguaglianza. Da un lato perché non differenzia
il trattamento di redditi di diversa natura, in tal modo contrastando i
principi enunciati nella sentenza di questa Corte n. 42 del 1980, dall’altro
perché discrimina situazioni contributivamente uguali, quali sono quelle dei
lavoratori autonomi e dei lavoratori dipendenti.
Il principio di eguaglianza sarebbe infine
ulteriormente violato per l’inclusione tra i soggetti passivi dell’imposta dei
soli lavoratori autonomi indicati all’art. 49, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917, con esclusione di quelli indicati al comma 2, considerato che non
sussiste alcuna differenza, in termini di attitudine alla contribuzione, tra le
attività delle due diverse categorie di lavoratori autonomi.
4.2.-
E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo
dell’Avvocatura generale dello Stato, eccependo preliminarmente l’inammissibilità
di tutte le questioni, per difetto di motivazione in ordine alla specifica
rilevanza di ciascuna di esse; l’inammissibilità delle questioni riguardanti
gli artt. 2 e 4 del decreto legislativo n. 446 del 1997, perché estranei ai
profili indicati nel dispositivo dell’ordinanza; l’inammissibilità della
questione riferita all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo, in quanto la
non deducibilità dell’IRAP in sede di determinazione dell’imponibile IRPEF è
evidentemente irrilevante in una controversia avente ad oggetto un rimborso
IRAP; l’inammissibilità, infine, della questione relativa alla mancata
inclusione nell’ambito di applicazione dell’IRAP dei soggetti passivi indicati
all’art. 49, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, per la mancata indicazione
di motivi a sostegno del dubbio di legittimità costituzionale.
Nel merito, con riferimento alle residue questioni,
l’Avvocatura ha concluso per la declaratoria di infondatezza.
L’IRAP – secondo la parte pubblica – non è, come il rimettente mostra di ritenere,
un’imposta sul reddito analoga alla soppressa ILOR, bensì un’imposta regionale
a sé stante che mira a colpire le remunerazioni dei fattori della produzione e
quindi, oltre ai profitti o guadagni dell’organizzatore della produzione, anche
gli interessi ed i salari, che sono pertanto indeducibili dalla base
imponibile.
La nuova imposta sarebbe sostanzialmente ispirata ad
una duplice finalità: quella di colpire una particolare ed incontestabile
capacità contributiva, da un lato, e di semplificare e razionalizzare gli
adempimenti dei contribuenti mediante la sostituzione di una pluralità di
contributi, con invarianza di gettito, dall’altro.
Le questioni riferite alla asserita violazione del
principio di eguaglianza sarebbero pertanto infondate in quanto basate
sull’erronea equiparazione dell’IRAP ad una imposta sul reddito.
5.-
La Commissione tributaria provinciale di Parma, con ordinanza emessa il 21
marzo 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 8 e 11 del decreto
legislativo n. 446 del 1997.
Motivata anche in tal caso la rilevanza della
questione sulla considerazione che il giudizio a quo ha ad oggetto il ricorso
proposto da un contribuente avverso il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione su
un’istanza di rimborso di acconto IRAP, il rimettente assume che gli artt. 2 e
3 sarebbero in contrasto con il principio di eguaglianza in quanto parificano
l’esercizio di arti e professioni all’attività di impresa e discriminano il
lavoro autonomo rispetto a quello subordinato.
L’art. 4 del decreto legislativo sarebbe invece in
contrasto con l’art. 53 Cost. in quanto non consente di dedurre, dalla base
imponibile, le spese sostenute per dipendenti e collaboratori e quelle per
interessi passivi.
La normativa denunciata violerebbe poi il principio
di eguaglianza anche sotto un diverso profilo, e cioè in quanto, avendo l’IRAP
assorbito il contributo al Servizio sanitario nazionale, il relativo onere
sarebbe ora posto a carico soltanto di talune categorie di contribuenti.
Ulteriore violazione dell’art. 53 Cost.
discenderebbe infine dalla indeducibilità dell’IRAP dalla base imponibile ai
fini IRPEF.
5.1.-
E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo
dell’Avvocatura generale dello Stato, mediante atto di contenuto
sostanzialmente analogo a quelli depositati nei giudizi già instaurati.
6.-
Nel corso di altro giudizio promosso da un contribuente avverso il
silenzio-rifiuto dell’amministrazione su un’istanza di rimborso dell’IRAP, la
Commissione tributaria provinciale di Como, con ordinanza emessa il 23 marzo
2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma
1, lettera c), 4 e 8 del decreto legislativo n. 446 del 1997, in riferimento
agli artt. 3 e 53 Cost.; dell’intero decreto legislativo, in riferimento
all’art. 53 Cost.; dell’art. 3, comma 1, lettera c), in riferimento all’art. 76
Cost.
La non manifesta infondatezza della questione è
motivata sulla scorta di considerazioni del tutto analoghe a quelle svolte, in
riferimento ai medesimi parametri, dagli altri rimettenti.
6.1.-
L’Avvocatura generale dello Stato è intervenuta in giudizio, concludendo per
l’infondatezza della questione, mediante atto di contenuto simile ai precedenti.
7.-
La Commissione tributaria provinciale di Trapani, nel corso di un giudizio
avente ad oggetto l’impugnativa del provvedimento di reiezione di un’istanza di
rimborso dell’acconto IRAP relativo all’anno 1998, con ordinanza emessa il 19
giugno 2000 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 Cost., questione
di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3, comma 1, lettera c), e 8 del
decreto legislativo n. 446 del 1997, nelle parti in cui sottopongono all’IRAP
l’attività professionale di lavoro autonomo.
La non manifesta infondatezza della questione è
ravvisata nella disparità di trattamento che la normativa denunciata
realizzerebbe attraverso l’assoggettamento alla medesima imposta di attività
diverse, quanto al livello di organizzazione, quali quella imprenditoriale e
quella professionale.
7.1.-
L’Avvocatura generale dello Stato, costituendosi in giudizio per conto del
Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso anche in tal caso per
l’infondatezza della questione, in base alla considerazione che l’ambito
applicativo dell’imposta è non irragionevolmente delimitato dall’esistenza di
un’autonoma organizzazione di mezzi per lo svolgimento dell’abituale attività
produttiva.
8.-
La Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con ordinanza emessa il 10
maggio 2000 nel corso di un giudizio di
impugnazione del silenzio-rifiuto dell’amministrazione su istanza di rimborso
di acconto IRAP, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 53 e 76 Cost.,
questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 8, 11 e 45,
comma 3, del decreto legislativo n. 446 del 1997, «precipuamente nelle parti in
cui:
·
non consentono di
dedurre dalla base imponibile le spese sostenute per i dipendenti e per i collaboratori e per gli interessi
passivi;
·
non discriminano i
lavoratori autonomi dagli imprenditori e viceversa (discriminano) i lavoratori
autonomi dai lavoratori dipendenti;
·
discriminano i
lavoratori autonomi di cui al primo comma dell’art. 49 TUIR dagli altri
lavoratori autonomi di cui alle altre ipotesi del citato articolo;
·
non consentono di
dedurre l’IRAP ai fini delle imposte sui redditi».
Con
altre due ordinanze emesse, in analoghi giudizi, il 26 maggio 2000, la medesima
Commissione tributaria di primo grado di Bolzano ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 53 e 76 Cost., questione di legittimità costituzionale delle
medesime norme, «nella parte in cui, disciplinando la tassazione dei lavoratori
autonomi,
·
assumono quale indice
rilevatore della loro capacità contributiva il semplice esercizio dell’attività
esercitata;
·
non discriminano i
lavoratori autonomi dagli imprenditori e, viceversa, discriminano i lavoratori
autonomi tra di loro;
·
non ammettono la
deducibilità delle spese sostenute per il personale e quelle per gli interessi;
·
dichiarano non
deducibile l’IRAP ai fini delle imposte sui redditi;
·
violano il contenuto
della legge delega n. 662 del 23.12.96, disattendendo l’obbligo di ridurre il
costo del lavoro ed il prelievo complessivo che grava sui redditi».
8.1.-
L’Avvocatura generale dello Stato è intervenuta nei tre giudizi, con atti di
contenuto non difforme da quelli depositati nei giudizi precedentemente
instaurati, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o comunque di
infondatezza delle questioni.
9.-
La Commissione tributaria provinciale di Lecco, con ordinanza emessa il 27
marzo 2000, nel corso di analogo giudizio di impugnazione del silenzio-rifiuto
dell’amministrazione su un’istanza di rimborso di acconto IRAP, ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 23, 53 e 76 Cost., questione di legittimità
costituzionale del decreto legislativo n. 446 del 1997, sulla scorta di
argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle già proposte dagli altri
rimettenti.
9.1.-
L’Avvocatura generale dello Stato, intervenendo in giudizio per conto del
Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso per l’inammissibilità o
l’infondatezza della questione, riportandosi ai propri precedenti atti di
intervento.
10.-
La Commissione tributaria provinciale di Genova, con ordinanza emessa il 3
luglio 2000, nel corso di un giudizio avente ad oggetto il ricorso proposto da
un contribuente nei confronti della Regione Liguria, avverso il provvedimento
di reiezione di un’istanza di rimborso di acconto IRAP, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale
degli artt. 1, 8 e 11, primo comma, lettera c), numeri 1), 2), 3) e 4) del
decreto legislativo n. 446 del 1997.
Il rimettente, in punto di rilevanza, osserva
preliminarmente che la Regione Liguria - unica convenuta - dovrebbe ritenersi
passivamente legittimata nel giudizio a quo per avere rigettato l’istanza di
rimborso proposta in via amministrativa dal contribuente, con ciò
implicitamente riconoscendosi competente a provvedere sull’istanza stessa,
nonché per essere la destinataria del pagamento effettuato dal contribuente
medesimo.
Quanto alla non manifesta infondatezza della
questione, il medesimo rimettente assume in primo luogo che le norme denunciate
sarebbero lesive del principio di eguaglianza e del principio di capacità
contributiva in quanto, includendo nella base imponibile taluni costi
sicuramente significativi, quali gli interessi passivi e le spese per il
personale, assoggetterebbero al medesimo prelievo fiscale soggetti aventi una differente
capacità contributiva in conseguenza della diversa entità di detti costi.
L’indeducibilità dell’IRAP dalle imposte sui redditi
sarebbe poi in contrasto con il principio espresso dall’art. 75, comma 5, del
d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, secondo cui «le spese e gli altri componenti
negativi (...) sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad
attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a
formare il reddito». Principio che, seppur non costituzionalizzato, esprimerebbe
una linea di tendenza del legislatore.
L’orientamento della stessa Corte costituzionale,
d’altro canto, sarebbe – secondo il rimettente - nel senso di ritenere che la
detraibilità dei tributi vada stabilita e commisurata dal legislatore ordinario
secondo un criterio che concili, sulla base di valutazioni politico-economiche
incensurabili purché non manifestamente irragionevoli, le esigenze finanziarie
dello Stato con quelle del cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della
vita collettiva.
10.1.-
Si è costituita in giudizio la Regione Liguria, resistente nel giudizio a quo,
eccependo in via preliminare l’irrilevanza della questione in ragione del
proprio difetto di legittimazione passiva.
Ad avviso della Regione, l’IRAP non è infatti un
tributo regionale, espressione di autonomia finanziaria, bensì un tributo
erariale devoluto alle regioni dalla legge statale. Si tratta infatti di
un’imposta introdotta inderogabilmente per tutte le Regioni con una legge
statale, che ne disciplina interamente la struttura, e che va versata allo
Stato, il quale provvede poi a riversarla alle Regioni, trattenendone una
quota. Nel senso della natura erariale dell’imposta si sarebbe del resto
pronunciata la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 1999.
L’istanza di rimborso, conseguentemente, non avrebbe
dovuto essere presentata alla Regione bensì all’ufficio finanziario competente
ed il ricorso al giudice tributario avrebbe dovuto perciò essere proposto nei
confronti dell’Ufficio delle entrate, se già istituito, ovvero nei confronti
dell’Ufficio distrettuale delle imposte dirette.
La questione, secondo la Regione Liguria, sarebbe
comunque infondata nel merito.
La circostanza che l’IRAP colpisca, in luogo dei
tradizionali indici di capacità contributiva, un nuovo indice di forza
economica, rappresentato dal valore aggiunto della produzione, e cioè dalla
ricchezza generata dall’organizzazione dell’attività, non costituirebbe affatto
lesione del principio di cui all’art. 53 Cost., atteso che la norma costituzionale
non contiene un elenco tassativo degli indici di capacità contributiva ma
richiede soltanto l’esistenza di un effettivo collegamento del presupposto
d’imposta con fatti e situazioni espressivi di potenzialità economica.
La stessa Corte, d’altro canto, ha sempre ritenuto
che il suo sindacato non possa entrare nel merito della discrezionalità
politica del legislatore, a meno che il suo esercizio non comporti irrazionali
ed arbitrarie discriminazioni, non ravvisabili nella fattispecie.
L’indeducibilità di taluni costi, quali quelli
sostenuti per stipendi o compensi e per interessi passivi, sarebbe quindi
coerente con la natura dell’imposta, atteso che detti costi rappresentano in
realtà componenti della produzione netta o del valore aggiunto.
I principi costituzionali evocati dal rimettente non
sarebbero nemmeno lesi dalla normativa denunciata, nella parte in cui questa
inserisce tra i soggetti passivi dell’imposta anche i lavoratori autonomi.
Se, infatti, l’IRAP è un tributo destinato a colpire
la ricchezza prodotta nell’esercizio di attività organizzate, è allora evidente
che nel suo ambito applicativo deve ricadere qualsiasi tipo di attività
caratterizzata da un minimo di organizzazione. Soluzione questa, del resto,
coerente con l’orientamento manifestato dalla Corte allorché, pronunciandosi
sulla questione di legittimità costituzionale del d.P.R. n. 599 del 1973,
istitutivo dell’ILOR, dichiarò l’illegittimità costituzionale delle norme
denunciate, nella parte in cui non escludevano dall’imposta i soli redditi di
lavoro autonomo non assimilabili ai redditi d’impresa.
Inammissibile per difetto di rilevanza, oltre che
infondata nel merito, sarebbe infine la questione relativa alla indeducibilità
dell’IRAP dalle imposte sul reddito, non avendo il giudizio a quo ad oggetto
una controversia riguardante l’ammontare di imposte sul reddito.
Nell’imminenza dell’udienza pubblica la Regione
Liguria ha depositato una memoria illustrativa, nella quale innanzitutto
ribadisce come la base imponibile dell’IRAP sia costituita non dal reddito
personale netto, come nel caso dell’IRPEF, bensì dal valore aggiunto prodotto,
assunto dal legislatore come nuovo indice di capacità contributiva.
Si tratterebbe, secondo una autorevole dottrina, di
una capacità contributiva autonoma, impersonale, di tipo reale, basata sulla
capacità produttiva che deriva dalla combinazione dei diversi fattori
organizzati dall’imprenditore o dal professionista, la cui individuazione non
contrasterebbe con il precetto di cui all’art. 53 Cost., stante l’obiettiva
rilevanza economica del presupposto impositivo.
Secondo altri autori, invece, la giustificazione
dell’IRAP risiederebbe nel diretto rapporto comunque configurabile tra la
ricchezza chiamata alla contribuzione ed i soggetti passivi d’imposta, essendo
indubbio che il valore aggiunto prodotto sia normalmente, pur se
indirettamente, rappresentativo della attitudine alla contribuzione del
soggetto esercente l’attività, per il quale l’imposta rappresenta, d’altro
canto, un costo di produzione che, tendenzialmente, sarà traslato su altri
soggetti, non diversamente da quanto accade – ad esempio – per l’imposta di
fabbricazione.
10.2.-
Lo Studio Rosina e Associati – Dottori commercialisti, ricorrente nel giudizio
a quo, ha depositato fuori termine una memoria di costituzione, concludendo per
l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.
Nell’imminenza
dell’udienza pubblica del 23 gennaio 2001, la medesima parte ha altresì
depositato una ampia memoria illustrativa.
10.3.-
L’Avvocatura generale dello Stato, intervenendo in giudizio per conto del
Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso per l’inammissibilità o
l’infondatezza della questione, riportandosi ai propri precedenti atti di
intervento.
11.-
La Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, con ordinanza emessa il
5 giugno 2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt.
1, commi 1 e 2, 2, 3, lettera c), 4, 8, 11, 36 e 45, comma 3, del decreto
legislativo n. 446 del 1997, «per violazione degli artt. 3 – 23 - 35 - 53 della
Costituzione anche con riferimento alla legge 23/12/1996 n. 662 (commi 143 e
144 dell’art. 3)».
Affermata la rilevanza della questione, vertendosi
anche in tal caso in tema di
impugnativa del silenzio-rifiuto dell’amministrazione su istanza di
rimborso di acconto IRAP, il rimettente ne motiva la non manifesta
infondatezza, non dissimilmente dagli altri rimettenti, con riguardo alla
assimilazione tra redditi di impresa e redditi da lavoro autonomo; alla
discriminazione tra i lavoratori autonomi di cui al primo comma dell’art. 49
del testo unico delle imposte sui redditi e gli altri lavoratori autonomi
indicati nello stesso art. 49; alla indeducibilità degli interessi passivi e
delle spese per il personale dipendente; alla mancata ripartizione tra tutti i
contribuenti del costo del Servizio sanitario nazionale; alla indeducibilità
dell’IRAP dalle imposte sui redditi; alla delega all’autorità amministrativa
della determinazione dell’ammontare dell’acconto.
11.1.-
L’Avvocatura generale dello Stato, intervenendo in giudizio per conto del
Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso per l’inammissibilità o
l’infondatezza della questione, riportandosi anche in tal caso ai propri
precedenti atti di intervento.
12.-
La Commissione tributaria provinciale di Piacenza, con ordinanza emessa il 29
febbraio 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 53 e 76 Cost.,
questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 36 e 45 del
decreto legislativo n. 446 del 1997, nonché del medesimo decreto legislativo
nel suo complesso, sotto profili sostanzialmente analoghi a quelli individuati
nelle altre ordinanze di rimessione.
12.1.-
E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo in via
principale per la declaratoria di inammissibilità della questione, per difetto
di motivazione sulla rilevanza della questione, e riportandosi comunque, nel
merito, ai propri precedenti atti di intervento.
13.-
Nell’imminenza dell’udienza pubblica del 23 gennaio 2001 e della camera di
consiglio del 24 gennaio 2001, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato
– in tutti i giudizi, ad eccezione di quello promosso dalla Commissione
tributaria provinciale di Piacenza - memorie illustrative, di contenuto in
larga parte coincidente.
13.1.-
In relazione alle censure riguardanti la asserita violazione del principio di
capacità contributiva, la parte pubblica in primo luogo osserva che la non
deducibilità dalla base imponibile degli interessi passivi e delle spese per il
personale dipendente non determina – diversamente da quanto taluni dei
rimettenti mostrano di ritenere – la tassazione di salari ed interessi in
quanto tali, «ma solo nella misura in cui gli stessi trovano capienza nel
valore della produzione netta (o valore aggiunto) il quale, siccome “risultato”
dell’attività organizzata svolta, costituisce la base imponibile del tributo e
integra in ogni caso il limite dell’imposizione».
L’Avvocatura ribadisce poi che l’IRAP non è
un’imposta sul reddito complessivo netto del soggetto passivo ma è bensì
un’imposta «che colpisce, con carattere di realità, il valore della produzione
e cioè incide sul valore aggiunto netto prodotto autonomamente presso ciascun
soggetto passivo» in dipendenza dell’esercizio dell’attività organizzata
imprenditoriale o professionale.
Ricorda, al riguardo, la parte pubblica che la
stessa Corte ha ripetutamente affermato che rientra nella discrezionalità del
legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà, l’individuazione dei singoli fatti
espressivi di capacità contributiva, cosicché il giudizio di legittimità
costituzionale delle norme denunciate, con riferimento al parametro di cui
all’art. 53 Cost., si risolve «nel verificare, nei limiti del controllo della
razionalità che compete al giudice delle leggi, se l’IRAP sia dal legislatore
ricollegata e ragguagliata ad un ragionevole presupposto espressivo di forza
economica e quindi significativo di attitudine alla contribuzione in colui che
alla stessa è chiamato come soggetto passivo della corrispondente obbligazione
tributaria».
Il risultato di tale verifica non potrebbe – secondo
la medesima parte pubblica – che essere positivo. Sarebbe, infatti, non
irragionevole, in primo luogo, il collegamento del tributo all’esercizio
abituale di attività di impresa o di lavoro autonomo che si attui attraverso la
autonoma organizzazione dei fattori di produzione, in quanto espressione reale
di potenzialità economica, come del resto già avviene per altri tributi
esistenti nel nostro sistema, quali le accise e l’IVA.
Sarebbe altresì non irragionevole la determinazione
della base imponibile mediante il riferimento al valore della produzione netta
evidenziatosi in conseguenza dell’attività organizzata esercitata dal soggetto
passivo, e cioè al valore aggiunto, rappresentante la ripartizione su base
individuale del prodotto interno netto (PIN) su base nazionale, destinato a sua
volta a ripartirsi tra salari, interessi e profitti.
Si tratterebbe, del resto, di una scelta coerente
con le finalità di politica fiscale perseguite dal legislatore, consistenti, da
un lato, nell’alleggerimento del prelievo sulla parte di valore aggiunto
destinato alle retribuzioni e, dall’altro, nella disincentivazione del diffuso indebitamento,
con la conseguente attenuazione del vantaggio fiscale proprio dei redditi
finanziari, «quale combinato effetto di una imposizione più mite di quella
ordinaria (per il percettore degli interessi) e della deduzione degli interessi
passivi (a favore del debitore) ai fini della imposizione diretta».
Non potrebbe, infine, dirsi irrazionale
l’individuazione, quale soggetto passivo, del solo “gestore” dell’impresa o
dell’attività professionale, proprio perché egli è il titolare dell’attività
organizzata che produce il valore aggiunto al quale è commisurata l’imposta.
Già in altre occasioni, del resto, la Corte avrebbe ritenuto legittime (ad
esempio nelle sentenze n. 111 del 1997 e n. 143 del 1995) norme che colpivano
determinati soggetti passivi, in riferimento a fatti indicativi di ricchezza
che non erano necessariamente propri di costoro o ai quali comunque essi
potessero sicuramente attingere per pagare il tributo.
Il soggetto passivo dell’IRAP, in ogni caso, avrebbe
la possibilità di trasferire il peso economico dell’imposta, secondo le leggi
di mercato, sia “all’indietro”, sulle retribuzioni del capitale e dei
lavoratori, sia “in avanti”, sui prezzi dei prodotti e dei servizi, a nulla
rilevando la mancanza di un’espressa previsione del diritto di rivalsa.
13.2.-
I dubbi di legittimità costituzionale riguardanti – con riferimento ai
parametri di cui agli artt. 3 e 53 Cost. – la sottoposizione ad IRAP anche dei
lavoratori autonomi (art. 3, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n.
446 del 1997) sarebbero poi frutto, secondo l’Avvocatura, di una imprecisa
lettura dell’art. 2 del medesimo decreto legislativo e di una non corretta
considerazione della natura dell’imposta.
Il predetto art. 2, come modificato dall’art. 1 del
decreto legislativo 10 aprile 1998, n. 137, individua infatti il presupposto
dell’IRAP nell’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata,
diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di
servizi.
L’abitualità e l’esistenza di una autonoma organizzazione
costituiscono dunque entrambe elementi caratterizzanti di detto presupposto,
cosicché rimarrebbero al di fuori dell’ambito di applicazione dell’imposta non
solo le attività meramente occasionali «ma anche quelle che, pur potendosi
astrattamente ricondurre all’esercizio di impresa (individuale), di arti e
professioni, non sono tuttavia esercitate mediante una organizzazione autonoma
da parte del soggetto interessato», in conformità del resto all’interpretazione
sin qui seguita dalla stessa amministrazione (ed esposta nella circolare n. 141
del 4 giugno 1998). Gli esercenti arti e professioni di cui al comma 1
dell’art. 49 del TUIR sarebbero dunque soggetti ad IRAP – secondo tale
interpretazione - solo in quanto l’attività da essi svolta sia autonomamente
organizzata.
Così letti, gli artt. 2 e 3 del decreto legislativo
n. 446 del 1997 si sottrarrebbero ai prospettati dubbi di legittimità
costituzionale, non potendo certo ritenersi irragionevole e discriminatoria –
ad avviso ancora dell’Avvocatura - la scelta del legislatore di sottoporre ad
uguale prelievo il valore aggiunto che costituisce il risultato di autonoma
organizzazione produttiva tanto dell’imprenditore quanto del lavoratore
autonomo.
Così come, di contro, l’esclusione dall’area di imponibilità
dei lavoratori dipendenti e degli altri lavoratori autonomi di cui all’art. 49,
comma 2, del TUIR si giustificherebbe proprio in considerazione della mancanza
del requisito dell’autonoma organizzazione.
Non pertinente sarebbe infine il richiamo, operato
da molti rimettenti, alla sentenza n. 42 del 1980 con la quale la Corte
dichiarò l’illegittimità costituzionale delle norme istitutive dell’ILOR in
quanto non escludevano dall’imposta i redditi di lavoro autonomo non
assimilabili ai redditi d’impresa. L’IRAP infatti, diversamente dall’ILOR, non
è un’imposta sul reddito e non colpisce i redditi prodotti dai soli lavoratori
autonomi in quanto tali, ma individua quale ragionevole presupposto di capacità
contributiva l’abituale esercizio di autonoma attività organizzata a fini
produttivi.
13.3.-
In merito alle censure riferite alla violazione dell’art. 3 Cost., sotto il
profilo della discriminazione tra categorie di contribuenti quanto al concorso
alle spese del servizio sanitario (avendo l’IRAP sostituito il preesistente
contributo al SSN), l’Avvocatura rileva che la contemporaneità
dell’introduzione dell’IRAP con la soppressione dei contributi sanitari non
comporta alcuna «continuità giuridica» tra i due tributi, inquadrandosi la
nuova imposta – sostitutiva non solo dei predetti contributi sanitari ma anche
di numerose altre imposte – nella fiscalità generale con natura e presupposti
completamente diversi da quelli dei tributi soppressi.
13.4.-
Quanto alle questioni riferite al parametro di cui all’art. 76 Cost., sotto il
profilo dell’inosservanza del criterio direttivo rappresentato dalla riduzione
del prelievo sui redditi di lavoro autonomo, la parte pubblica rileva
preliminarmente come tale censura muova da una premessa apodittica ed
indimostrata, quella cioè secondo la quale l’introduzione dell’IRAP, con la
contemporanea abolizione di altri tributi precedentemente gravanti sul lavoro
autonomo, avrebbe aumentato il carico tributario per la categoria degli
esercenti arti e professioni.
La finalità di riduzione del prelievo sui redditi di
lavoro autonomo è comunque riferita dalla legge delega – secondo l’Avvocatura –
non solo alla introduzione dell’IRAP ed alla soppressione dei previgenti
tributi e contributi, ma anche ad una serie di altri interventi su imposte
diverse, quali la revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni
IRPEF, cosicché il giudizio riguardo al rispetto del menzionato criterio
direttivo non potrebbe essere in nessun caso formulato con riguardo alla sola
normativa IRAP.
13.5.-
Inammissibile sarebbe invece – ad avviso ancora dell’Avvocatura – la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n.
446 del 1997, nella parte in cui prevede l’indeducibilità dell’IRAP ai fini
delle imposte sui redditi.
I giudizi nei quali la questione è stata sollevata
hanno infatti tutti ad oggetto controversie in tema di restituzione dell’IRAP
versata, mentre una siffatta questione potrebbe essere rilevante solamente se
si vertesse in materia di imposte sui redditi.
La questione – secondo la parte pubblica – sarebbe
comunque infondata nel merito, trattandosi di materia rientrante nella
discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà.
13.6.-
Quanto alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 del decreto
legislativo, con riferimento all’art. 35 Cost., la parte pubblica rileva che
l’indeducibilità delle spese per il personale dipendente non può ritenersi di
per sé in contrasto con il principio costituzionale di tutela del lavoro – per
il suo preteso effetto disincentivante rispetto alla assunzione ed al
mantenimento di lavoratori dipendenti – in quanto detto principio va comunque
coordinato con altri interessi aventi pari rilevanza costituzionale, ed in
specie con quelli presidiati dall’art. 53 Cost..
In ogni caso l’Avvocatura osserva che l’introduzione
dell’IRAP e la contemporanea abolizione dei contributi al SSN e della c.d.
tassa sulla salute hanno in realtà attenuato, e non aggravato, l’onere fiscale
incidente sul lavoro subordinato.
13.7.-
Inammissibile e, comunque, priva di fondamento sarebbe, da ultimo, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 45, comma 3, del decreto legislativo n.
446 del 1997, sollevata con riferimento al parametro di cui all’art. 23 Cost..
Incomprensibile – secondo l’Avvocatura – sarebbe
infatti la rilevanza della questione nei giudizi a quibus, aventi ad oggetto
domande di rimborso dell’acconto versato, considerato che la norma denunciata
prevede l’applicazione della c.d. clausola di salvaguardia che consente al
contribuente, nella ricorrenza di determinate condizioni, di ridurre il
versamento in acconto dovuto per l’anno 1998.
Dovrebbe in ogni caso considerarsi, nel merito, che
la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. va intesa in senso relativo, come
obbligo del legislatore di determinare preventivamente e sufficientemente
criteri direttivi di base e linee generali di disciplina dell’attività
amministrativa. La norma denunciata risulterebbe quindi pienamente rispettosa
del dettato costituzionale, avendo il legislatore rimesso al decreto
ministeriale la sola fissazione dell’entità della riduzione dell’acconto,
determinato per legge, sulla base di criteri predeterminati.
1.-
Con le ordinanze indicate in epigrafe vengono sollevate, sotto profili e con
riferimento a parametri in buona parte coincidenti, questioni di legittimità
costituzionale di singole norme del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.
446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione
degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di
una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei
tributi locali), ovvero dell’intero testo normativo.
I
giudizi, stante l’evidente connessione, vanno pertanto riuniti per essere
unitariamente decisi.
2.-
Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità delle questioni sollevate, con
riferimento all’intero decreto legislativo n. 446 del 1997, dalla Commissione
tributaria provinciale di Torino, con l’ordinanza emessa il 6 ottobre 1999,
dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con entrambe le
ordinanze, dalla Commissione tributaria
provinciale di Lecco e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza. E
ciò in quanto secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il rimettente
– salvo il caso in cui specificamente argomenti che il vulnus derivi da un
intero corpo normativo - è tenuto ad individuare, a pena appunto di
inammissibilità, la norma, o la parte di essa, la cui presenza nell’ordinamento
determinerebbe la lamentata lesione della Costituzione (cfr., ex multis,
ordinanze n. 208 del 2000 e n. 185 del 1996).
3.-
L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce inoltre l’inammissibilità, per
difetto di rilevanza, delle questioni riferite all’art. 1 del decreto
legislativo n. 446 del 1997, nella parte in cui dispone la non deducibilità
dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) ai fini delle imposte
sui redditi, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Milano,
dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, dalla Commissione tributaria
di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze, dalla Commissione
tributaria provinciale di Genova, dalla Commissione tributaria provinciale di
Reggio Emilia e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza.
L’eccezione va accolta. Quella prospettata, in
termini sostanzialmente coincidenti, dai suddetti rimettenti è infatti
questione che attiene al regime giuridico ed alla fase applicativa delle imposte
sui redditi, ed è perciò irrilevante nei giudizi a quibus, aventi tutti ad
oggetto controversie in tema di rimborso dell’acconto IRAP (cfr. sentenze n.
111 del 1997 e n. 21 del 1996).
4.-
Del pari inammissibile è la questione di legittimità costituzionale riguardante
l’art. 45, comma 3, del decreto legislativo n. 446 del 1997, sollevata, in
riferimento all’art. 23 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di
Como, con l’ordinanza emessa il 18 ottobre 1999, dalla Commissione tributaria
di primo grado di Bolzano, con l’ordinanza emessa il 10 maggio 2000, dalla
Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia e dalla Commissione
tributaria provinciale di Piacenza.
La norma denunciata prevede che «con decreto del
Ministro delle finanze sono stabiliti (...) gli ammontari in valore assoluto e
percentuale del maggior carico impositivo rispetto a quello derivante dai
tributi e contributi soppressi ai sensi degli articoli 36 e 51, comma 1, in
base ai quali fissare l’entità della riduzione dell’acconto dovuto ai fini
della stessa imposta determinato ai sensi dell’articolo 31».
L’eventuale caducazione di detta norma, richiesta
dai rimettenti, comporterebbe il venir meno della stessa possibilità di
riduzione dell’acconto ma non certo la restituzione dell’acconto già versato,
che costituisce l’oggetto dei giudizi a quibus.
La
questione risulta pertanto del tutto irrilevante.
5.-
L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce ancora l’inammissibilità della
questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, in
considerazione dell’asserito difetto di legittimazione passiva della Regione
Liguria, unica convenuta nel giudizio a quo, avente ad oggetto il ricorso
proposto da un contribuente avverso il provvedimento di reiezione di un’istanza
di rimborso dell’acconto IRAP versato.
L’eccezione
va disattesa.
La questione riguardante la legittimazione passiva
della Regione Liguria risulta già introdotta, in via di eccezione, nel giudizio
a quo, ed il rimettente motiva specificamente, nell’ordinanza, riguardo alle
ragioni per le quali egli ritiene invece la Regione medesima passivamente
legittimata al giudizio. Ciò è sufficiente per escludere che questa Corte possa
pervenire, sovrapponendo il proprio giudizio a quello del giudice del merito,
ad una declaratoria di inammissibilità della questione di costituzionalità per
difetto di rilevanza, rimanendo ovviamente impregiudicata ogni ulteriore
valutazione, da compiersi nel giudizio a quo, riguardo all’esattezza delle
conclusioni cui il rimettente è pervenuto sul punto.
6.-
Nel merito, un primo gruppo di questioni riguarda la conformità ai principi di
eguaglianza e capacità contributiva delle norme del decreto legislativo
relative alla stessa individuazione del presupposto d’imposta ed alla
determinazione della base imponibile.
Rientrano in questo gruppo le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legislativo sollevate, in
riferimento all’art. 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di
Torino, con le due ordinanze in data 23 settembre 1999, e dalla Commissione
tributaria provinciale di Piacenza; la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 8 e 11, comma 1, lettera c), numeri 1), 2), 3) e 4), sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale
di Genova; le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, 4, 8 e 11
sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria
provinciale di Milano e, in riferimento al solo art. 53 Cost., dalla Commissione
tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze; la
questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, 8 e 11 del decreto
legislativo sollevata, in riferimento all’art. 53 Cost., dalla Commissione
tributaria provinciale di Parma; la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 2, 4 e 8 del decreto legislativo sollevata, in riferimento all’art.
53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia.
Deducono in buona sostanza i rimettenti che le norme
denunciate, assumendo quale presupposto dell’imposta il mero esercizio abituale
di una attività economica organizzata diretta alla produzione o allo scambio di
beni ovvero alla prestazione di servizi (art. 2), indipendentemente dal
risultato economico di tale attività, ed indicando quale base imponibile il
valore della produzione netta, al netto degli ammortamenti, costituita dalla
differenza tra ricavi e costi, esclusi tuttavia gli interessi passivi ed i
costi relativi al personale (artt. 4, 8 e 11), si porrebbero in contrasto con
il principio di capacità contributiva e perciò, in definitiva, con il principio
di eguaglianza, in quanto assoggetterebbero il contribuente ad un prelievo
fiscale basato su una mera potenzialità di capacità contributiva, suscettibile
di non tradursi in reddito nel caso in cui l’ammontare di retribuzioni ed
interessi passivi sia uguale o superiore al valore della suddetta produzione
netta, attesa anche la mancata previsione di qualsivoglia meccanismo di
rivalsa.
6.1.-
Le questioni sono infondate.
6.2.-
E’ costante nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la
quale rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della
non arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità
contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione di imposta, può
essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non
solamente dal reddito individuale (sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n.
143 del 1995, n. 159 del 1985).
Nel caso dell’IRAP il legislatore, nell’esercizio di
tale discrezionalità, ha individuato quale nuovo indice di capacità
contributiva, diverso da quelli utilizzati ai fini di ogni altra imposta, il
valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate.
La scelta di siffatto indice – diversamente da
quanto i rimettenti assumono - non può dirsi irragionevole, né comunque lesiva
del principio di capacità contributiva, atteso che il valore aggiunto prodotto
altro non è che la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva, che
viene, mediante l’IRAP, assoggettata ad imposizione ancor prima che sia
distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione,
trasformandosi in reddito per l’organizzatore dell’attività, i suoi finanziatori,
i suoi dipendenti e collaboratori.
L’imposta colpisce perciò, con carattere di realità,
un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di
contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore
delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i
diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione.
Irrilevante, ai fini della valutazione della
conformità dell’imposta al principio di capacità contributiva, è d’altro canto
la mancata previsione del diritto di rivalsa da parte del soggetto passivo
dell’imposta stessa nei confronti di coloro cui pure il valore aggiunto
prodotto è, pro quota, riferibile (e cioè i lavoratori ed i finanziatori).
Come si verifica per qualsiasi altro costo (anche di
carattere fiscale) gravante sulla produzione, l’onere economico dell’imposta
potrà essere infatti trasferito sul prezzo dei beni o servizi prodotti, secondo
le leggi del mercato, o essere totalmente o parzialmente recuperato attraverso
opportune scelte organizzative.
7.-
Un secondo gruppo di questioni riguarda specificamente l’inclusione tra i
soggetti passivi dell’imposta degli esercenti arti e professioni di cui
all’art. 49, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
8.-
Vengono in primo luogo in considerazione, a tale proposito, le questioni di
legittimità costituzionale – da intendersi evidentemente riferite all’art. 3,
comma 1, lettera c), del decreto legislativo - sollevate, in riferimento
all’art. 76 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con
l’ordinanza emessa il 23 marzo 2000, e dalla Commissione tributaria di primo
grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze.
Assumono i rimettenti che, attraverso
l’assoggettamento ad IRAP dei lavoratori autonomi, si sarebbe violato il
criterio direttivo stabilito dall’art. 3, comma 143, della legge 23 dicembre
1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), rappresentato
dalla riduzione del costo del lavoro e del prelievo complessivo che grava sul
lavoro autonomo.
8.1.-
Anche tale censura è infondata.
8.2.-
L’assunto da cui i rimettenti muovono – che cioè l’onere derivante dall’IRAP
sia, per i lavoratori autonomi, maggiore di quello da cui erano precedentemente
gravati per effetto dei tributi e contributi soppressi dall’art. 36 del decreto
legislativo – è infatti apodittico ed indimostrato. Oltre a ciò va considerato
che il criterio direttivo cui i medesimi rimettenti fanno riferimento riguarda
non solamente l’istituzione dell’IRAP, ma il complesso delle riforme del
sistema tributario indicate nello stesso art. 3, comma 143, della legge n. 662
del 1996, tra le quali, ad esempio, figura anche, alla lettera b), la revisione
degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’imposta sul reddito
delle persone fisiche. Con la conseguenza che la comparazione andrebbe semmai
effettuata con riguardo non alla sola IRAP, ma all’intero carico fiscale
gravante sul lavoro autonomo prima e dopo la riforma.
Da ultimo – ed il rilievo è di per sé decisivo – va
comunque osservato che è la stessa legge delega n. 662 del 1996 a prevedere,
all’art. 3, comma 144, lettera b), che l’istituenda imposta regionale sulle
attività produttive venga applicata anche nei confronti degli esercenti arti e
professioni.
9.-
Altri rimettenti dubitano della legittimità costituzionale della normativa
istitutiva dell’IRAP, nella parte in cui questa opererebbe una ingiustificata
equiparazione, ai fini del trattamento fiscale, tra redditi di impresa e
redditi di lavoro autonomo, con violazione vuoi del principio di eguaglianza,
vuoi del principio di capacità contributiva, vuoi, infine, del principio di
tutela del lavoro in tutte le sue forme.
Vengono sotto tale profilo in considerazione le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera c), del
decreto legislativo sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Como,
con l’ordinanza emessa il 18 ottobre 1999, in riferimento agli artt. 3 e 35
Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con le due ordinanze
emesse il 23 settembre 1999, in riferimento all’art. 53 Cost., dalla
Commissione tributaria provinciale di Milano, in riferimento agli artt. 3 e 53
Cost., e dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e
tre le ordinanze, in riferimento all’art. 3 Cost.; le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 2 e 3 del medesimo decreto legislativo sollevate
dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, in riferimento all’art. 3
Cost., e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, in riferimento
all’art. 53 Cost.; la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3,
comma 1, lettera c), 4 e 8 del medesimo decreto legislativo sollevata dalla
Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 23 marzo
2000, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.; la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 2, 3, comma 1, lettera c), e 8 del medesimo decreto
sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Trapani, in riferimento
agli artt. 3, 35 e 53 Cost.; la
questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera c), 8 e
11 del medesimo decreto legislativo sollevata dalla Commissione tributaria
provinciale di Reggio Emilia in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 Cost.
9.1.-
Le questioni stesse sono infondate alla stregua delle considerazioni che
seguono.
9.2.-
Va innanzitutto ribadito che l’IRAP non è un’imposta sul reddito, bensì
un’imposta di carattere reale che colpisce – come già si è osservato - il
valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate.
Non riguardando, dunque, la normativa denunciata la
tassazione dei redditi personali, le censure riferite all’asserita equiparazione
del trattamento fiscale dei redditi di lavoro autonomo a quello dei redditi di
impresa risultano fondate su un presupposto palesemente erroneo.
L’assoggettamento all’imposta in esame del valore
aggiunto prodotto da ogni tipo di attività autonomamente organizzata, sia essa
di carattere imprenditoriale o professionale, è d’altro canto pienamente
conforme ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva - identica
essendo, in entrambi i casi, l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla
nuova ricchezza prodotta - né appare in alcun modo lesivo della garanzia
costituzionale del lavoro.
E’ tuttavia vero – come taluni rimettenti
rilevano – che mentre l’elemento
organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può
dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con
carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività
professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui.
Ma è evidente che nel caso di una attività
professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione – il
cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce
questione di mero fatto - risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta
sulle attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’art. 2,
dall’«esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla
produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi», con la
conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa.
10.-
L’art. 3, comma 1, lettera c), del decreto legislativo – in combinato disposto,
secondo la prospettazione di taluni rimettenti, con l’art. 2 - è ancora fatto
oggetto di censura, in riferimento all’art. 3 Cost., per l’ingiustificata
disparità di trattamento che ne deriverebbe in danno dei lavoratori autonomi
rispetto ai lavoratori subordinati, non assoggettati all’imposta.
10.1.-
L’infondatezza della questione – sollevata dalla Commissione tributaria
provinciale di Torino, con entrambe le ordinanze, dalla Commissione tributaria
provinciale di Milano, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, dalla
Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con l’ordinanza emessa il 10
maggio 2000, e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza – risulta
evidente sulla base delle medesime considerazioni sopra svolte riguardo alla
natura e all’oggetto dell’imposta.
Una volta chiarito, infatti, che l’IRAP non colpisce
il reddito personale del contribuente, bensì il valore aggiunto prodotto dalle
attività autonomamente organizzate, nessuna ingiustificata disparità di
trattamento può ravvisarsi nella inclusione tra i soggetti passivi dell’imposta
dei lavoratori autonomi – in quanto appunto esercenti attività autonomamente
organizzate – e non anche dei lavoratori dipendenti, la cui attività è per
definizione priva del connotato rappresentato dall’autonoma organizzazione.
11.-
La Commissione tributaria provinciale di Como, con entrambe le ordinanze, la
Commissione tributaria provinciale di Milano, la Commissione tributaria di
primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze, e la Commissione
tributaria provinciale di Reggio Emilia ritengono, sotto altro aspetto, in
contrasto con il principio di eguaglianza l’inclusione tra i soggetti passivi
dell’imposta degli esercenti arti e professioni di cui all’art. 49, comma 1,
del testo unico delle imposte sui redditi e non anche degli altri lavoratori
autonomi indicati ai commi 2 e 3 della stessa norma.
11.1.-
Anche in tal caso la censura è priva di fondamento, in quanto l’assoggettamento
ad IRAP dei soli soggetti che svolgono un’attività di lavoro autonomo per
professione abituale, ancorché non esclusiva, trova fondamento in una non
irragionevole presunzione circa la mancanza del requisito dell’autonoma
organizzazione nelle diverse ipotesi, previste dai commi 2 e 3 del menzionato
art. 49, di lavoro autonomo occasionale o comunque non abituale.
12.-
L’art. 3 del decreto legislativo è infine ulteriormente censurato, in
riferimento all’art. 3 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Como,
con entrambe le ordinanze, dalla Commissione tributaria di primo grado di
Bolzano, con l’ordinanza emessa il 10 maggio 2000, e dalla Commissione
tributaria provinciale di Parma in quanto porrebbe a carico solamente di alcune
categorie di contribuenti il finanziamento del Servizio sanitario nazionale,
essendo stati soppressi dall’art. 36 del decreto legislativo, contestualmente
all’entrata in vigore dell’IRAP, i previgenti contributi.
Sotto il medesimo profilo la Commissione tributaria
provinciale di Piacenza solleva invece questione di legittimità costituzionale
dell’art. 36 del decreto legislativo, sempre in riferimento all’art. 3 Cost.,
mentre la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia dubita, in
riferimento allo stesso parametro, della legittimità costituzionale sia
dell’art. 3 che dell’art. 36.
12.1.-
Le questioni sono prive di fondamento.
La circostanza che i contributi per il servizio
sanitario nazionale – unitamente ad altre imposte e contributi - siano stati
soppressi a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo
n. 446 del 1997 e che il servizio sanitario sia finanziato anche dalla nuova
imposta non esclude che il prelievo operato dall’IRAP si inquadri nella
fiscalità generale e che nessuna identificazione sia perciò richiesta tra i
soggetti passivi dell’imposta ed i beneficiari dei servizi pubblici al cui
finanziamento il gettito è, in parte, destinato.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
a)
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle
attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle
detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale
imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sollevate dalla
Commissione tributaria provinciale di Torino, con l’ordinanza emessa il 6
ottobre 1999, in riferimento agli artt. 3, 23, 53 e 76 della Costituzione;
dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 18
ottobre 1999, in riferimento agli artt. 3, 32 e 76 della Costituzione, e con
l’ordinanza emessa il 23 marzo 2000, in riferimento all’art. 53 della
Costituzione; dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco, in riferimento
agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, e dalla Commissione tributaria
provinciale di Piacenza, in riferimento all’art. 76 della Costituzione;
b)
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1
del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.446, sollevate dalla Commissione
tributaria provinciale di Milano, in riferimento agli artt. 3 e 53 della
Costituzione; dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, in riferimento
all’art. 53 della Costituzione; dalla Commissione tributaria di primo grado di
Bolzano, con tutte e tre le ordinanze, in riferimento all’art. 53 della
Costituzione; dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, in riferimento
agli artt. 3 e 53 della Costituzione; dalla Commissione tributaria provinciale
di Reggio Emilia, in riferimento all’art. 53 della Costituzione, e dalla
Commissione tributaria provinciale di Piacenza, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione;
c)
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45,
comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sollevata, in
riferimento all’art. 23 della Costituzione, dalla Commissione tributaria
provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 18 ottobre 1999; dalla
Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con l’ordinanza emessa il 10
maggio 2000; dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia e dalla
Commissione tributaria provinciale di Piacenza;
d)
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale: dell’art. 3,
comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 35
della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza
emessa il 18 ottobre 1999; degli artt. 3, comma 1, lettera c), e 4 del medesimo
decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della
Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con le due
ordinanze emesse il 23 settembre 1999; degli artt. 2, 3, 4, 8 e 11 del medesimo
decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della
Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano; degli artt.
2, 3, 4, 8 e 11 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli
artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di
Parma; degli artt. 3, comma 1, lettera c), 4 e 8 del medesimo decreto
legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione,
dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 23
marzo 2000; degli artt. 2, 3, comma 1, lettera c), e 8 del medesimo decreto
legislativo sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Trapani, in
riferimento agli artt. 3, 35 e 53 della Costituzione; degli artt. 2, 3, 4, 8 e
11 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53
e 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di
Bolzano, con tutte e tre le ordinanze; degli artt. 8 e 11, comma 1, lettera c),
numeri 1), 2), 3) e 4), del medesimo decreto legislativo sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria
provinciale di Genova; degli artt. 2, 3, comma 1, lettera c), 4, 8 e 11 del
medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3, 35 e 53
della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia;
degli artt. 2, 3, 4 e 36 del medesimo decreto legislativo sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria
provinciale di Piacenza.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 10 maggio 2001.
F.to:
Fernando
SANTOSUOSSO, Presidente
Annibale
MARINI, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 21 maggio 2001.
Il
Direttore della Cancelleria
F.to:
DI PAOLA